Puttanoroscopo
Cos'è questo?
Un uovo?
Per i fratelli Boot! puzza di fresco.
Daglielo a Gillot.
Galileo come va
e le sue terze parallele!
Quel vecchio infame archipenzolatore figlio di un cantiniere!
Ci muoviamo disse eccoci lanciati - Porca Madonna!
come un nostromo, o un Pretendente sacco-di-patate alla carica.
Quello non è muoversi, è muoversi.
Cos'è questo?
Una frittatina verde o una fungosa?
Due ovari frustati al prostisciutto?
Quanto l'inuterò, la pennuta?
Tre giorni e quattro notti?
Daglielo a Gillot.
Faulhaber, Beeckman e Pietro il Rosso,
venite adesso nella nebulosa valanga o nuvola cristallina rosso-sole di Gassendi
e vi cristallerò tutte le vostre da gallina-e-mezzo
o una lente sotto il pÃutnino a mezzo-giorno.
Pensare che era mio fratello, Pietro Pugni-di-ferro,
e non ci avreste tirato fuori un sillogismo
come se il Babbo ci fosse ancora dentro.
Ehi! dammi quelle monete
dolce sudore zigrinato del mio fegato ardente!
Ai giorni che sedevo nella stufa scagliando gesuiti dal lucernario.
Chi è quello? Hals?
Che aspetti.
La mia bircietta stinta!
Mi nascondevo e cercavi.
E Francine frutto mio prezioso di un feto da casa-e-salotto!
Che esfogliazione!
La sua piccola epidermide grigia scorticata e le tonsille scarlatte!
Figlia mia unica
fiagellata dalla febbre fino al sangue, scuro, stagnante... sangue!
O Harvey amato
come faranno il rosso e il bianco, i molti nei pochi,
(caro Harvey batti-sangue)
a turbinare attraverso quel frullatore fesso?
E il quarto Enrico venne alla cripta della freccia.
Cos'è questo?
Quanto tempo?
Covalo.
Un vento maligno scagliava il mio sconforto senza speranza
contro le aguzze torri dell'unica signora:
non una né due volte bensÃ...
(Bordello di Cristo covalo!)
in un solo annegamento di sole
(Gesuitastri prego copiare).
Dunque avanti con la calza di seta sulla maglia, e il morbido cuoio
- ma che dico! il gentile canovaccio -
e via a Ancona sul brillante Adriatico
e addio per un po' alla chiave giall dei Rosacrociani.
Non sanno ciò che il maestro di color che fanno fece,
che il naso è toccato dal bacio di ogni aria immonda e pura,
e i timpani, e il trono della cala fecale,
e gli occhi dai suoi zigzag.
Cosà Lo beviamo e Lo mangiamo
e l'annacquato Beaune e i cubi raffermi di Hovis
perché Egli può tarantellare
tanto vicino tanto lontano dalla Sua Tarantellante Essenza
e tanto mesto tanto vivace quanto il calice o il vassoio richiedano.
Che ne dici, Antonio?
In nome di Verulamio vuoi pollarmi quell'uovo!
Dovrò ingoiare fantasmi di grotta?
Anna Mari!
Legge Mosè e dice che il suo amore è crocifisso.
Leider! Leider! Fiorà e s'appassi,
pallido pappagallo abusivo su una finestra del corso.
No, ci credo dalla prima all'ultima parola ti giuro.
Fallor, ergo sum!
Vecchio pudico sfioratore!
Un gran "tolle" e "lege"
poi si abbottonava il panciotto da redentorista
Non fa niente, lascia perdere.
Sono uno sfacciato lo so
dunque non sono figlio mio
(anche se fossi portinaio)
né di Joachim mio padre
ma scheggia di un ceppo perfetto che non è vecchio né nuovo,
petalo isolato di un'alta grossa rosa splendente.
Sei finalmente maturo,
esile pallido tordo mio dal doppio-petto?
Come odora bene
questo aborto di pulcino!
Lo mangerò col coltello da pesce.
Bianco e tuorlo e piume.
Poi mi alzerò e mi avvierò
verso Raab delle nevi,
l'amazzone assassina mattiniera confessata dal Papa,
Cristina la sventrattice".
O Weulles risparmia il sangue di un franco
che ha salito le amare scale
(René du Perron ... !)
e concedimi la mia seconda
ora inscrutabile senza stelle.
poesia di Samuel Beckett (1930)
Aggiunto di Simona Enache
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Chi ti ha guardata
Chi ti ha guardata una volta, irretito
non sarà mai dalla rovina, o Madre;
da te lontano, cede alla tristezza,
ti amerà sempre con passione ardente,
e la memoria in lui della tua grazia
resta il più alto volo del suo spirito.
Mi volgo a te con devozione immensa,
tu già conosci quello che mi manca.
Sii tenera con me, Madre soave,
dammi un segno di gioia, finalmente.
Tutta la mia esistenza in te riposa,
resta vicino a me solo un istante.
Più volte nei miei sogni ti ho veduta
così bella, e nell'intimo amorosa;
il piccolo dio che avevi tra le braccia
voleva muoversi a pietà del compagno;
ma tu tornasti, levando il tuo sguardo
sublime, tra le nuvole in tripudio.
Me infelice! che cosa ti ho mai fatto?
Pieno di nostalgia, ti prego ancora;
non sono il luogo dove la mia vita
trova pace, le tue cappelle sante?
Regina benedetta,
prenditi questo cuore e questa vita.
Lo sai, regina amata,
che sono tutto interamente tuo.
Non ho goduto già da lungo tempo
nel segreto del cuore la tua grazia?
Quando ero ancora ignaro di me stesso
succhiavo il latte al tuo beato seno.
Sei stata accanto a me infinite volte,
guardavo a te con gioia di fanciullo;
mi tendeva le mani - perché un giorno
potesse ritrovarmi - il tuo bambino.
Con dolce e tenero sorriso - oh tempo
di paradiso! - un bacio tu mi davi.
Questo beato mondo ora è lontano,
e già da tempo il lutto mi accompagna,
perdutamente ho continuato a errare:
dunque ho peccato in modo così grave?
Fanciullo, tocco l'orlo del tuo manto,
svegliami tu da questo grave sogno.
Solo un fanciullo può guardarti in viso,
con fiducia aspettare il tuo soccorso;
allora sciogli il vincolo degli anni,
ch'io ritorni com'ero, il tuo bambino.
Vivono in me la fedeltà , l'amore
mio di fanciullo, da quel tempo d'oro.
poesia di Novalis
Aggiunto di Simona Enache
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Poem XVII
Non t'amo come se fossi rosa di sale, topazio
o freccia di garofani che propagano il fuoco:
t'amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, tra l'ombra e l'anima.
T'amo come la pianta che non fiorisce e reca
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il concentrato aroma che ascese dalla terra.
T'amo senza sapere come, né quando, né da dove,
t'amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti
che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.
poesia di Pablo Neruda
Aggiunto di Simona Enache
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E ti amo
E ti amo, ti amo davvero
E ti amo, ti amo lo giuro
Te lo scrivo di rosso e di nero
Sulla pagina enorme di un muro
E ti amo, ti amo di brutto
E ti amo più della mia vita
Anche se sono più di trent’otto
Gli anni persi su questo pianeta.
E ti amo anche se è incomprensibile
Per la gente che ancora non sa
Che ti amo e doveva succedere
A questa età .
E ti amo, ti amo da sempre
Anche se ti conosco da un giorno
Come un’Africa che si riempie
Di falò sotto un cielo notturno.
E ti amo, ti amo per sbaglio
Ma è la cosa più giusta che faccio
Da quando ero un ragazzo al guinzaglio
E con tutte facevo il pagliaccio.
E ti amo anche se è intraducibile
Nella lingua di questa cittÃ
Ma è davvero così imperdonabile
Se ti amo giÃ
E ti amo come se
Non avessi amato mai
Senza rabbia e senza che
Abbia fatto niente per volerlo ormai,
Dimmi che ci sei
Che mi vuoi.
E ti amo, ti amo, ti amo
Come un mare che aspetta alla foce
Il suo fiume di vita e di pace.
E ti amo e mi sento ridicolo
Senza maschere ne gravità ,
Ma ti amo e mi sembra un miracolo
Se ti amo già .
E ti amo, ti amo sul serio
E ti amo, ti amo lo giuro,
Anche se resterà un desiderio
Che la pioggia cancella dal muro…
canzone interpretata di Marco Masini
Aggiunto di Simona Enache
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Quando un uomo e una donna diventano uno...
Ho coperto i miei occhi
con la polvere della tristezza,
finché entrambi furono un mare colmo di perle.
Tutte le lacrime che noi creature versiamo per lui
non sono lacrime,come pensano molti, ma perle...
Mi lamento dell'anima con l'anima,
ma non per lamentarmi: dico solo le cose come stanno.
Il cuore mi dice che è angosciato per lui
ma io non posso che ridere di questi torti immaginari.
Sii giusta, tu che sei la gloria del giusto.
Tu, anima, libera dal "noi" e dall' "io",
spirito sottile in ogni uomo e donna.
Quando un uomo e una donna diventano uno,
quell'uno sei tu.
E quando quell'uno è cancellato, tu sei.
Dove sono questo "noi" e questo "io"?
A lato dell'amato.
Tu hai fatto questo "noi" e questo "io"
perché tu potessi giocare
al gioco del corteggiamento con te stesso,
affinché tutti i "tu" e gli "io" diventino un'anima sola
e infine anneghino nell'amato.
Tutto ciò è vero. Vieni!
Tu che sei la parola creatrice: Sii.
Tu, al di là di qualunque descrizione.
E' possibile per l'occhio fisico vederti?
Può il pensiero comprendere il tuo riso o la tua pena?
Dimmi, è possibile vederti?
Soltanto di cose in prestito vive questo cuore.
Il giardino d'amore è infinitamente verde
e dà molti frutti oltre alla gioia e al dolore.
L'amore è al di là di entrambe le condizioni.
Senza primavera, senza autunno, è sempre nuovo.
poesia di Rumi
Aggiunto di Simona Enache
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Il cantore
"Al di là del portone che cosa sento,
che cosa risuona sul ponte?
Lascia che al nostro orecchio
nella sala risuoni la canzone!"
Fu il re a parlare, il paggio corse,
tornò il ragazzo, e il re ad alta voce:
"Fatemi entrare il vecchio!"
"Nobili signori, il mio saluto vi sia dato,
il mio saluto, belle dame, a voi!
Che ricco cielo, astro vicino ad astro!
Chi mai conosce i loro nomi?
Nella sala di sfarzo e di splendore,
occhi chiudetevi; qui non è l'ora
di rallegrarsi per la meraviglia."
Il cantore strinse gli occhi
per toccare le corde a piene note;
i cavalieri guardavano animosi,
e, a capo chino, le belle donne.
Il re, tanto la canzone gli piacque,
ordina che in onore della sua arte
gli sia portata una collana d'oro.
"Non a me, ma ai cavalieri
l'aurea collana tu devi darla,
di fronte al loro aspetto fiero
le lance nemiche si schiantano.
Dalla al cancelliere che hai,
e fa' che agli altri gravami
anche questo, d'oro, si aggiunga.
Come l'uccello che dimora
in mezzo ai rami, io canto;
la canzone che erompe dalla gola
è un compenso ricco e lauto.
Se posso, ti prego solo di una cosa:
fa' che mi diano in una coppa
d'oro puro il vino migliore."
Alzò la coppa e la bevve tutta:
"O bevanda dal soave ristoro!
O felice la casa amica della fortuna,
dove questo è un piccolo dono!
Nella prosperità pensate a me
e ringraziate Dio con il fervore che
ho verso di voi per questa bevanda."
poesia di Goethe
Aggiunto di Simona Enache
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La morte non e' niente
La morte non e' niente.
Non conta.
Sono solo scivolato via nella stanza accanto.
Non è successo niente.
Ogni cosa rimane esattamente com’era.
Io sono io e tu sei tu, e la vecchia vita che abbiamo vissuto così affettuosamente insieme è intatta, immutata.
Tutto ciò che eravamo reciprocamente, lo siamo ancora.
Chiamami con il vecchio consueto nome.
Parla di me in maniera tranquilla, come hai fatto sempre.
Non porre alcuna differenza nel tuo tono.
Non portarti addosso una forzata aria di gravita' o dolore.
Ridi come abbiamo sempre riso delle piccole cose che abbiamo apprezzato insieme.
Gioca, sorridi, pensami, prega per me.
Lascia sempre che il mio nome sia la parola familiare che è sempre stata.
Lascia che sia detto senza sforzo, senza il fantasma di un’ombra su di esso.
La vita significa tutto ciò che ha sempre significato.
È tutto come è sempre stato.
C’è una continuità assoluta e ininterrotta.
Cosa è questa morte se non un trascurabile incidente?
Perché dovrei essere fuori dalla mente, perché sono fuori dalla vista?
Sono li' che ti aspetto, per un intervallo, in qualche luogo molto vicino, proprio dietro l’angolo.
Va tutto bene.
Nessuno si e' fatto male; nulla è perduto.
Un breve momento e tutto sarà come prima.
Come rideremo del dispiacere di separarsi quando ci incontreremo di nuovo!
poesia di Henry Scott Holland, traduzione di Fernanda Lapenna
Aggiunto di Dan CostinaÅŸ
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Barbara
Ricordati Barbara
Pioveva senza sosta quel giorno su Brest
E tu camminavi sorridente
Serena rapita grondante
Sotto la pioggia
Ricordati Barbara
Come pioveva su Brest
E io ti ho incontrata a rue de Siam
Tu sorridevi
Ed anch'io sorridevo
Ricordati Barbara
Tu che io non conoscevo
Tu che non mi conoscevi
Ricordati Ricordati quel giorno ad ogni costo
Non lo dimenticare
Un uomo s'era rifugiato sotto un portico
E ha gridato il tuo nome
Barbara
E sei corsa verso di lui sotto la pioggia
Grondante rapita rasserenata
E ti sei gettata tra le sue braccia
Ricordati questo Barbara
E non mi rimproverare di darti del tu
lo dico tu a tutti quelli che amo
Anche se una sola volta li ho veduti
Io dico tu a tutti quelli che si amano
Anche se non li conosco
Ricordati Barbara
Non dimenticare
Questa pioggia buona e felice
sul tuo volto felice
Su questa città felice
Questa pioggia sul mare
Sull'arsenale
Sul battello d'Ouessant
Oh Barbara
Che coglionata la guerra
Che ne è di te ora
Sotto questa pioggia di ferro
Di fuoco d'acciaio di sangue
E l'uomo che ti stringeva tra le braccia
Amorosamente
è morto disperso o è ancora vivo
Oh Barbara
Piove senza sosta su Brest
Come pioveva allora
Ma non è più la stessa cosa e tutto è crollato
E' una pioggia di lutti terribili e desolata
Non c'è nemmeno più la tempesta
Di ferro d'acciaio e di sangue
Soltanto di nuvole
Che crepano come cani
Come i cani che spariscono
Sul filo dell'acqua a Brest
E vanno ad imputridire lontano
Lontano molto lontano da Brest
Dove non vi è piú nulla.
poesia di Jacques Prevert
Aggiunto di Simona Enache
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Senza di te
Senza di te che cosa sarei stato?
Senza di te che cosa non sarei?
Destinato a paure e smarrimenti,
solo mi sentirei nel vasto mondo.
Non amerei più nulla con certezza,
sarebbe un cupo baratro il futuro;
se nel profondo il cuore si turbasse,
a chi potrei svelare la mia pena?
Solo, da amore e nostalgia consunto,
non dissimile il giorno dalla notte
mi sembrerebbe; e seguirei con caldo
pianto il corso selvaggio della vita.
Troverei nel tumulto inquietudine,
dentro la casa angoscia disperata.
Chi reggerà senza un amico in cielo,
chi reggere potrà qui sulla terra?
Ora che Cristo a me si è rivelato,
io con certezza tutto gli appartengo,
come consuma rapida una chiara
vita la tenebra senza confine.
Sono con Cristo divenuto un uomo;
il destino è da lui trasfigurato,
e l'India deve fiorire gioiosa
perfino nel Nord intorno all'amato.
La vita diventa un'ora d'amore,
d'amore e gioia tutto il mondo parla.
Cresce un'erba che sana ogni ferita,
palpita colmo e libero ogni cuore.
Io rimango, per tutti i suoi mille
regali, pieno d'umiltà , suo figlio;
so che sarà presente in mezzo a noi
anche se solo due fossimo insieme.
Oh, andate per tutte le strade
e riportate dentro chi è smarrito,
stendete a ognuno la mano, invitatelo
lietamente a venire in mezzo a noi.
Il cielo è qui con noi sulla terra,
lo contempliamo uniti nella fede;
e a quelli che con noi sono congiunti
in un'unica fede, si apre il cielo.
Un senso antico, grave del peccato
ci stava in cuore saldamente impresso;
come ciechi erravamo nella notte,
da rimorso e passione insieme accesi.
Che l'uomo degli dei fosse nemico
ci sembrava, ogni azione delittuosa;
anche se il cielo sembrava parlarci,
parlava soltanto di morte e di pena.
Nel cuore, ricca fonte della vita,
stava annidato un essere malvagio;
e se si illuminava il nostro spirito,
era solo inquietudine il suo frutto.
Saldamente inchiodava i prigionieri
tremanti a terra una catena ferrea;
la spada giustiziera della morte
ci atterrì, soffocando ogni speranza.
Venne un figlio dell'uomo a riscattarci,
pieno d'amore e forza, un Salvatore;
nel nostro intimo un fuoco ha suscitato
che infonde nuova vita ad ogni cosa.
Vedemmo finalmente aperto il cielo
su di noi, come nostra antica patria;
provammo l'esultanza di sentirci
congiunti a Dio, di credere e sperare.
E da allora per noi sparve il peccato,
fu gioioso ogni passo sulla terra;
si regalò, sul nascere, ai fanciulli
come il dono più bello questa fede;
da lei santificata, come un sogno
felice trascorreva ormai la vita;
e, votati ad amore e gioia eterna,
si avvertì appena l'ora del distacco.
Sta ancora qui nel suo splendore
meraviglioso, il Santo, l'Amato;
per la sua fedeltà , la sua corona
di spine, siamo in lacrime, commossi.
Sia benvenuto ogni uomo che passa
e che afferra con noi la sua mano
per divenire maturando, accolto
nel suo cuore, un frutto del paradiso.
poesia di Novalis
Aggiunto di Simona Enache
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Inno
Pochi sanno
il mistero dell'amore,
sentono fame insaziabile
e sete eterna.
Il simbolo divino
della Cena
è un enigma per i sensi terreni:
ma chi una volta
da calde, amate labbra
bevve il soffio della vita,
cui sciolse un ardore sacro
in onde di brividi il cuore,
chi aprì gli occhi
per misurare l'insondabile
profondità del cielo,
mangerà del suo corpo
e berrà del suo sangue
per sempre.
Chi ha decifrato l'alto
senso del corpo terreno?
Chi può dire
di comprendere il sangue?
Tutto sarà un giorno
corpo, un solo corpo,
in sangue celeste
nuoterà la coppia beata. -
Oh, che l'oceano
già s'imporpori
e in carne odorosa
fermenti la roccia!
Non ha mai fine la cena soave,
non è mai sazio l'amore.
Mai del tutto possiamo con l'amato
congiungerci, in un'unica sostanza.
Da sempre più tenere labbra
mutato, diviene il possesso
più intimo e vicino.
Voluttà più ardente
percorre con brividi l'anima.
Più assetato e affamato
diviene il cuore:
e così dura il godimento d'amore
di eternità in eternità .
Se una volta chi è digiuno
lo avesse gustato,
lascerebbe ogni cosa
per sedere con noi
alla mensa della nostalgia
che non è mai scarsa.
Saprebbe l'infinita
pienezza dell'amore
e loderebbe il cibo
di carne e di sangue.
poesia di Novalis
Aggiunto di Simona Enache
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After such pleasures
Questa notte, cercando la tua bocca
in un’altra bocca
quasi credendoci, perché così
da cieco è questo fiume
che attira nella donna e mi
sommerge fra le sue palpebre
che tristezza nuotare infine verso la
riva del sopore
sapendo che il sopore è questo
schiavo ignobile
che accetta le monete false,
le fa circolare sorridendo.
Scordata purezza, come vorrei
riscattare questo dolore di Buenos Aires, questa
attesa senza pause né speranza.
Solo nella mia casa aperta sul porto
un’altra volta incominciare ad amarti
un’altra volta incontrarti al cafè
la mattina
senza che tante cose irrinunciabili
fossero accadute
e non dovermi accontentare di questo
oblio che sale
verso il nulla, per cancellare dalla
lavagna i tuoi pupazzetti
e non ritrovarmi soltanto una
finestra senza stelle.
poesia di Julio Cortazar, traduzione di Federico Guerrini
Aggiunto di Simona Enache
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L'arrivo della nave
Almustafa, l'eletto e l'amato, come un'alba verso il suo giorno, aveva atteso dodici anni nella città di Orfalese il ritorno della nave che doveva riportarlo all'isola nativa.
E nel dodicesimo anno, il giorno settimo di Iellol mese della mietitura, salì sopra la collina fuori le mura della città e guardò verso il mare, e nella foschia vide la sua nave venire.
Allora le porte del suo cuore si spalancarono e la sua gioia volò lontano, al di sopra del mare. E Almustafa chiuse gli occhi e pregò nei silenzi dell'anima.
Ma discendendo dalla collina, una grande tristezza calò su di lui, e così ragionò nel suo cuore:
Come andarsene in pace e senza dolore? No, non senza ferita nell'anima lascerò questa città .
lunghi sono stati i giorni di sofferenza consumati tra le sue mura, lunghe le noti di solitudine; e chi può senza rimpianto lasciare il suo dolore e la sua solitudine?
Troppi frammenti dello spirito ho disseminato in queste strade, troppi figli del mio desiderio vanno nudi tra queste colline, e io non posso allontanarmi da loro senza peso e dolore.
Non è una veste che oggi io respingo, ma una pelle che strappo con le mie stesse mani.
Non è un pensiero che io lascio dietro a me, ma un cuore reso dolce da fame e sete.
Tuttavia più a lungo non posso indugiare.
Il mare che pretende ogni cosa mi chiama, e io devo imbarcarmi.
Poiché se resto, nonostante brucino le ore della notte, io sarò ghiaccio e fossile, costretto in una forma.
Vorrei portare con me ogni cosa che è qui. Ma come potrò?
Una voce non può portare con sé la lingua e le labbra che le hanno dato le ali. Sola dovrà approdare al cielo.
E sola e senza nido l'aquila volerà attraverso il sole.
Giunto ai piedi della collina, nuovamente guardò verso il mare e vide la sua nave avvicinarsi al porto e sulla prua i marinai, gli uomini della sua terra.
E la sua anima gridò loro:
Figli della mia antica madre, cavalieri delle onde,
quante volte avete veleggiato nei miei sogni. E adesso approdate al mio risveglio, che è il mio sogno più profondo.
Sono pronto a partire, e a vele spiegate il mo desiderio aspetta il vento.
Ancora una volta respirerò quest'aria calma e ancora una volta volgerò indietro il mio sguardo d'amore.
E allora sarò tra voi, navigante tra i naviganti.
E tu, vasto mare, materno e insonne,
Unica pace e libertà per il torrente e il fiume,
In questa piana la corrente traccerà solo un'altra svolta, avrà solo un altro mormorio.
E allora io verrò a te, goccia infinita in sconfinato oceano.
E camminando vide di lontano uomini e donne lasciare campi e vigneti e accorrere alle porte della città .
E udì le loro voci pronunciare il suo nome e gridare da campo a campo annunziandosi l'un l'altra l'arrivo della sua nave.
E lui si disse:
Il giorno della separazione sarà forse giorno di convegno?
E questa mia vigilia, in verità , sarà detta la mia aurora?
E cosa offrirò a chi ha lasciato l'aratro a metà solco o ha fermato la ruota del suo torchio?
Sarà il mio cuore l'albero pesante di frutti che donerò loro?
E sgorgheranno come fonte i miei desideri affinché ne siano colme le loro coppe?
Sono forse io quale arpa sfiorata dalla mano del potente, o un flauto che il suo soffio attraversa?
Io sono un esploratore di silenzi, e quali tesori scoperti nei silenzi potrò dispensare con fiducia?
Se questo è il mio giorno delle messi, in quali campi ho sparso il seme e in quali stagioni dimenticate?
Se veramente questo è il giorno in cui leverò alta la mia lanterna, non è mia la fiamma che qui brucerà .
Buia e vuota alzerò la mia lanterna.
E a riempirla d'olio, così come ad accenderla, sarà il guardiano della notte.
Questi pensieri lui tradusse in parole. Ma molto restò nel suo cuore di non detto. Poiché lui stesso era incapace di esprimere il suo segreto più profondo.
E quando entrò nella città tutto il popolo gli venne incontro e lo acclamò con una voce sola.
E gli anziani della città si fecero avanti e dissero:
Non lasciarci ancora.
Sei stato un meriggio nel nostro crepuscolo e la tua giovinezza ci ha donato visioni di sogno.
Non sei ospite tra noi, non straniero, ma il figlio nostro prediletto.
Non tollerare che ai nostri occhi manchi il nutrimento del tuo volto.
E i sacerdoti e le sacerdotesse gli dissero:
Non adesso ci separino le onde del mare e non diventino ricordo gli anni che hai trascorso tra noi.
Come spirito hai camminato in mezzo a noi e la tua ombra è stata luce per i nostri volti.
Molto ti abbiamo amato. Ma senza parole, nascosto, fu il nostro amore.
Ora esso grida e a te vorrebbe rivelarsi.
Poiché sempre l'amore ignora la sua profondità fino all'ora del distacco.
E altri vennero a supplicarlo. Ma lui non rispose. Chinò soltanto la testa, e chi gli era vicino vide le lacrime cadergli sul petto.
E con il popolo avanzò sulla grande piazza, davanti al tempio.
E dal santuario uscì una donna di nome Almitra. Ed era un'indovina.
E lui la fissò con estrema tenerezza perché per prima lo aveva cercato, e aveva creduto in lui dal giorno del suo arrivo in quella città .
E lei lo salutò dicendo:
Profeta di Dio, che cerchi l'assoluto, a lungo hai spiato l'orizzonte per scorgere la tua nave.
E ora la tua nave è giunta e tu devi andare.
Profonda è in te la nostalgia per la terra dei tuoi ricordi e per la dimora delle tue grandi speranze; e neppure il nostro amore potrà trattenerti né la nostra necessità .
Ma prima di lasciarci noi ti chiediamo: parlaci e dona a noi la tua verità .
Noi la doneremo ai nostri figli, questi a loro figli, ed essa non perirà .
In solitudine hai vegliato sui nostri giorni, e vigile hai udito il pianto e il riso del nostro sonno.
E allora dischiudici a noi stessi e a noi rivela ciò che sai su quanto passa tra la nascita e la morte.
E lui rispose:
Popolo di Orfalese, di che cosa posso parlare se non di ciò che anche ora si agita nel vostro cuore?
poesia di Khalil Gibran
Aggiunto di Simona Enache
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Met? del corpo
Dalla pianta dei piedi fino alla testa
mi avvolge la voce di mia madre .
Non sarebbe lei una scintilla se non fossi stata io
il cielo cullato dalle acque.
Quando mi mancava,
potevo ascoltarmi da sotto il suo cuore
nel mezzo della fiaba.
Met? del mio corpo è mamma,
Con l'altra met? mi sono specchiata
in una foglia di mela
vedendomi il suo fiore.
Gli altri fiori mi sono venuti al cuore;
moriranno senza di me
se non li fascio con le ali d'angelo
per salire nello specchio dei cieli,
per nevicare nella felicit? di coloro
che non sono stati avvolti
dalla pianta dei piedi fino alla testa
con la voce della mamma.
Pensando alla foglia ho
capito perché mi sono lasciata fiore nella sua ombra:
nel mio nome troverò sempre la voce di mia madre.
poesia di Camelia Oprița da Poeții noștri .ro
Aggiunto di anonimo
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Cantare e' d'amore
Come una finzione: non del sangue ma del rosso,
acqua e sale e non le lacrime assaggiai,
arsure come di battaglia,
di comparse fuoco e paglia,
ed i cuori son cavalli scossi in noi.
Amarsi e' come andare in fuga
e' cosa ho fatto, cosa ho detto mai.
Non e' la verita' che piu'
la dici e piu' la dici mai
e' l'illusione mia che e' vera
e che scorre fiera
tra le dita della vita passa
il suono e belle immagini di noi,
meravigliosa confusione tra i dialoghi
e le pose
e ogni peso appassionato e'
un soffio ma non la verita',
che e' sempre un'altra storia ma non lei,
lei che tra i baci miei e' d'amore.
E' improvvisazione, non e' vento e non e' sole,
pioggia atroce meglio e' che non ci sia.
Amarsi e' come arrampicarsi
su uno schermo di illusione
e poi credere quell'edera realta'.
E' le bugie ragazza mia
e' il naso lungo e il gusto dell'addio.
Non e' la verita' che piu'
la dici e piu' la dici mai.
E' vita che non sai, sara' che come me tu rivivrai
quando l'amore mio ti cantero'.
E' quando tutti i giuramenti fatti
a te saranno inganni alla vita che,
stupita, sbandera'.
Amarsi e' prima di capire
e' rimbambire la ragione in noi.
Non e' la verita' che piu' la dici e meno baci avrai.
E' l'illusione mia che e' vera.
E chi ama canta tra le voci della vita
l'acqua che si incontra col suo scialacquio.
Oppure e' meglio non cantare, muti se non e' d'amore
e qualcuno deve farlo e sono io che ti cantero'
e come in fuga nel tuo cuore andro'.
Non e' la verita' che piu' la dici e piu' la dici mai.
Perche' cantare e' d'amore.
E' d'amore.
E' d'amore.
canzone interpretata di Amedeo Minghi
Aggiunto di Simona Enache
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Scrive l'amante
Uno sguardo dai tuoi occhi nei miei,
un bacio dalla tua bocca alla mia;
chi come me ne sa qualcosa
può ancora in altro trovare gioia?
Lontana da te, separata dai miei,
i miei pensieri girano in tondo,
e sempre tornano a quell’ora,
quell’unica ora; e piango.
Poi d’improvviso si secca la lacrima;
il suo amore, penso, raggiunge questa quiete,
e tu non dovresti spaziare lontano?
Senti come sussurra questo soffio d’amore,
l’unica mia gioia è il tuo volere.
poesia di Goethe
Aggiunto di Simona Enache
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Dove sei tu
Dove sei tu che il mondo consoli?
Pronta da tempo è già la tua dimora.
Ti guarda con anelito ogni cosa,
s'apre a te perché tu la benedica.
Da te con forza effondilo, o padre,
lascialo andare, allarga le tue braccia:
solo innocenza, amore e un soave
pudore lontano da noi lo trattenne.
Sospingilo da te - che ancora caldo
sia del tuo fiato - tra le nostre braccia;
e lascia che, raccolto in gravi nuvole
su di noi, qui discenda per amore.
Quaggiù mandalo in fresche correnti,
ch'egli fiammeggi in vampe di fuoco,
in aria e olio, in suono e rugiada
tutta percorra e lieviti la terra.
Così la santa guerra è combattuta,
soffocata la rabbia dell'inferno;
prorompe indistruttibile l'antico
paradiso, e in eterno rifiorisce.
La terra respira, verdeggia e vive,
piena di spirito anela ogni cosa
creata ad accogliere il redentore
e il colmo petto gli offre amorosa.
L'inverno si dilegua, e sta sull'altare
maggiore del presepe un anno nuovo:
l'anno primo del mondo, che si è assunto
d'iniziare, da solo, il dio bambino.
Fissi nel redentore sono gli occhi
che già di dio riflettono la luce;
con grazia sorridente egli ci guarda
tra i fiori che incoronano il suo capo.
Cristo è la stella, Cristo è il sole,
egli è la fonte della vita eterna;
splende il suo viso infantile nell'erba,
nella pietra, nel mare e nella luce.
Nelle cose è il suo gesto di fanciullo.
Non ha mai fine l'ardente suo amore,
e ad ogni petto si stringe, dimentico
di se stesso, con vincoli infiniti.
Un dio per noi, per sé un fanciullo,
ci ama tutti con intimo fervore,
e diviene per noi cibo e bevanda:
se vuoi rendergli grazie, sii fedele.
Cresce ogni giorno di più la miseria,
grave un'angoscia cupa ci opprime;
lascia, o padre, che scenda l'amato,
con noi congiunto potrai rivederlo.
poesia di Novalis
Aggiunto di Simona Enache
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Bisbigli di immortalitÃ
Webster fu molto posseduto dalla morte;
Sotto la pelle vide sempre il cranio;
E sottoterra creature scarne, ripiegate
All'indietro in un ghigno senza labbra.
Sostituiti ai globi, bulbi di narciso
Fissavano dall'orbita degli occhi!
Sapeva che il pensiero s'avvinghia a membra morte
Serrando ogni sua brama e ogni lussuria.
J. Donne, suppongo, fu un altro di quei tali
Che non riuscivano a sostituire il senso
Per afferrare, adunghiare e penetrare;
Vedendo anche più in là dell'esperienza
Egli conobbe l'angoscia del midollo,
La febbre di malaria dello scheletro;
Nessun contatto carnale possibile
Leniva la febbre dell'ossa.
. . . . . . . . . . . .
E Grishkin è graziosa; il suo occhio di russa
A sottolinearlo con estrema enfasi;
Senza corsetto, il suo busto amichevole
Offre promesse di piaceri pneumatici.
L'accucciato giaguaro brasiliano
Frena la piccola scimmia che fugge
Con la sottile effusione del gatto;
Grisbkin possiede una piccola casa;
Il levigato giaguaro brasiliano
Nella sua arborea oscurità non emana
Un fetore felino tanto forte
Quanto Grishkin ne emana in un salotto.
E persino le Entità Astratte
Fanno la corte alla sua grazia; ma
Il nostro destino s'insinua fra costole aride
Per tener calda la nostra metafisica.
poesia di T.S. Eliot
Aggiunto di Simona Enache
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Prigionieri nelle catene di neve
I ricchi si preoccupano poco della democrazia.
Recitano una sola preghiera
e un inno:
Accumulo di denaro.
La storia?
Una fiaba in mezzo alla tragedia,
bugie e inganni
in continua evoluzione per l'uomo comune che
nasce prigioniero in catene di ferro
e muore in una desolata gabbia di schiavitù
come gli animali domestici.
Se vuoi cambiare le catene di ferro
nelle catene di neve,
devi sapere che tutto inizia con piccoli passi -
sono durevoli.
Per riconoscere la luce,
devi aver visto prima il buio.
Il comune mortale
o quello fuori dalla linea
è un corridore verso il muro della morte.
Sono opere che parlano da sole,
sia in argilla che scritte su carta.
C’è troppo dramma nel nostro mondo e nel nostro tempo
per perpetuarlo anche nelle storie.
Ora vi lascio a Dio...
Se avete bisogno di me
mi trovare nella "mia cella"-
La luna sa dove sono il mio letto e la mia croce!
poesia di Camelia Oprița da Dal Vol. Insonni in bianco e nero (2012), traduzione di Camelia Oprița
Aggiunto di Fernando Forgiero - Italia, Artista illustratore c
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Il corvo
Una volta, a mezzanotte, mentre stanco e affaticato
meditavo sovra un raro, strano codice obliato,
e la testa grave e assorta — non reggevami piú su,
fui destato all'improvviso da un romore alla mia porta.
"Un viatore, un pellegrino, bussa — dissi — alla mia porta,
solo questo e nulla più!"
Oh, ricordo, era il dicembre e il riflesso sonnolento
dei tizzoni in agonia ricamava il pavimento.
Triste avevo invan l'aurora — chiesto e invano una virtù
a' miei libri, per scordare la perduta mia Lenora,
la raggiante, santa vergine che in ciel chiamano Lenora
e qui nome or non ha più!
E il severo, vago, morbido, ondeggiare dei velluti
mi riempiva, penetrava di terrori sconosciuti!
tanto infine che, a far corta — quell'angoscia, m'alzai su
mormorando: "È un pellegrino che ha battuto alla mia porta,
un viatore o un pellegrino che ha battuto alla mia porta,
questo, e nulla, nulla più!".
Calmo allor, cacciate alfine quelle immagini confuse,
mossi un passo, e: "Signor — dissi — o signora, mille scuse!
ma vi giuro, tanto assorta — m'era l'anima e quassù
tanto piano, tanto lieve voi bussaste alla mia porta,
ch'io non sono ancor ben certo d'esser desto". Aprii la porta:
un gran buio, e nulla più!
Impietrito in quella tenebra, dubitoso, tutta un'ora
stetti, fosco, immerso in sogni che mortal non sognò ancora!
ma la notte non dié un segno — il silenzio pur non fu
rotto, e solo, solo un nome s'udì gemere: "Lenora!"
Io lo dissi, ed a sua volta rimandò l'eco: "Lenora!"
Solo questo e nulla più!
E rientrai! ma come pallido, triste in cor fino alla morte
esitavo, un nuovo strepito mi riscosse, e or fu sì forte
che davver, pensai, davvero — qualche arcano avvien quaggiù,
qualche arcan che mi conviene penetrar, qualche mistero!
Lasciam l'anima calmarsi, poi scrutiam questo mistero!
Sarà il vento e nulla più!
Qui dischiusi i vetri e torvo, — con gran strepito di penne,
grave, altero, irruppe un corvo — dell'età la più solenne:
ei non fece inchin di sorta — non fe' cenno alcun, ma giù,
come un lord od una lady si diresse alla mia porta,
ad un busto di Minerva, proprio sopra alla mia porta,
scese, stette e nulla più.
Quell'augel d'ebano, allora, così tronfio e pettoruto
tentò fino ad un sorriso il mio spirito abbattuto:
e, "Sebben spiumato e torvo, — dissi, — un vile non sei tu
certo, o vecchio spettral corvo della tenebra di Pluto?
Quale nome a te gli araldi dà nno a corte di Re Pluto?"
Disse il corvo allor: "Mai più!".
Mi stupii che quell'infausto disgraziato augello avesse
la parola, e benché quelle fosser sillabe sconnesse,
trasalii, ché, in niuna sorta — di paese fin qui fu
dato ad uom di contemplare un augel sovra una porta,
un augello od una bestia aggrappata ad una porta
con un nome tal: "Mai più!".
Ma severo e grave il corvo più non disse e stette come
s'egli avesse messo tutta quanta l'anima in quel nome:
sovra il busto, appollaiato — non parlò, non mosse più
finché triste ebbi ripreso: "Altri amici m'han lasciato!
il mattin non sarà giunto ch'egli pur m'avrà lasciato!".
Disse allor: "Mai più! mai più!".
Scosso al motto ch'or sì bene s'era apposto al mio pensiere,
"Certo, — dissi, — queste sillabe sono tutto il suo sapere!
e chi a tale ritornello — l'addestrò, forse quaggiù
sarà stato sì infelice ch'ogni canto suo più bello
come un requiem, non aveva ogni canto suo più bello
a finir che in un mai più!"
Ma un pensier folle ancor voltomi a un sorriso il labbro torvo:
scivolai su un seggiolone fino in faccia al busto e al corvo,
e qui, steso nel velluto — presi intento a studiar su
cosa mai volesse dire quel ferale augel di Pluto,
quel feral, sinistro, magro, triste, infausto augel di Pluto
col suo lugubre: "Mai più!".
Così assorto in fantasie stetti a lungo, e sempre intento
all'augello i di cui sguardi mi riempivan di spavento,
non osai più aprire labro — sprofondato sempre giù
fra i cuscini accarezzati dal chiaror di un candelabro
fra i cuscini rossi ov'ella, al chiaror di un candelabro,
non verrà a posar mai più!
Allor parvemi che a un tratto si svolgesse in aria, denso
e arcan, come dal turibolo d'un angelo, un incenso.
"O infelice, dissi, è l'ora! — e infin ecco la virtù
e il nepente che imploravi per scordar la tua Lenora!
Bevi, bevi il filtro e scorda! scorda alfin questa Lenora!"
Mormorò l'augel: "Mai più!".
"O profeta — urlai — profeta, spettro o augel, profeta ognora!
o l'Averno t'abbia inviato — o una raffica di bora
t'abbia, naufrago, sbalzato — a cercar asil quaggiù,
in quest'antro di sventure, di' al meschino che t'implora,
se qui c'è un incenso, un balsamo divino! egli t'implora!"
Mormorò l'augel: "Mai più!".
"O profeta — urlai — profeta, spettro o augel, profeta ognora!
per il ciel sovra noi teso, per l'Iddio che noi s'adora
di' a quest'anima se ancora — nel lontano Eden, lassù,
potrà unirsi a un'ombra cara che chiamavasi Lenora!
a una vergine che gli angeli ora chiamano Lenora!"
Mormorò l'augel: "Mai più!".
"Questo detto sia l'estremo, spettro o augello — urlai sperduto.
Ti precipita nel nembo! torna ai baratri di Pluto!
non lasciar piuma di sorta — qui a svelar chi fosti tu!
lascia puro il mio dolore, lascia il busto e la mia porta!
strappa il becco dal mio cuore! t'alza alfin da quella porta!"
Disse il corvo: "Mai, mai più!"
E la bestia ognor proterva — tetra ognora, è sempre assorta
sulla pallida Minerva — proprio sopra alla mia porta!
Il suo sguardo sembra il guardo — d'un dimon che sogni, e giù
sui tappeti il suo riflesso tesse un circolo maliardo,
e il mio spirto, stretto all'ombra di quel circolo maliardo
non potrà surger mai più!
poesia di Edgar Allan Poe (1845), traduzione di Ernesto Ragazzoni
Aggiunto di Dan CostinaÅŸ
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Meta' del corpo
Dalla pianta dei piedi fino alla testa
mi avvolge la voce di mia madre .
Non sarebbe lei una scintilla se non fossi stata io
il cielo cullato dalle acque.
Quando mi mancava,
potevo ascoltarmi da sotto il suo cuore
nel mezzo della fiaba.
Meta' del mio corpo è mamma,
Con l'altra meta' mi sono specchiata
in una foglia di mela
vedendomi il suo fiore.
Gli altri fiori mi sono venuti al cuore;
moriranno senza di me
se non li fascio con le ali d'angelo
per salire nello specchio dei cieli,
per nevicare nella felicita' di coloro
che non sono stati avvolti
dalla pianta dei piedi fino alla testa
con la voce della mamma.
Pensando alla foglia ho
capito perché mi sono lasciata fiore nella sua ombra:
nel mio nome troverò sempre la voce di mia madre.
Camelia Oprița
poesia di Camelia Oprița da Poeții noștri .ro (2019), traduzione di Camelia Oprița
Aggiunto di Camelia Oprița
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Occidentali
Un odor soave e forte
Ansa, a tratti, dà giardini:
Trema, in fondo a qualche corte
Un ronzio di mandolini.
Oggi ho il core tanto lieto
Che non sembra più quel core:
Brilla e ride in suo segreto
E si chiede: amore? è amore?
Io ti giuro ch' è questa, è questa, è questa
La sola mèta ch' al mio corso io bramo:
Nelle tue bracia reclinar la testa
E mormorar su la tua bocca: t'amo.
Il tè di Russia ancor fumante odora
In tazza di cinese porcellana;
Ma voi site lontana,
E il tè mi di raffredda, o mia signora.
Svampano rossi i ciocchi a ora a ora
Mentre abbrivida fuor la tramontana;
Ma voi site lontana,
E il fuoco mi si spegne, o mia signora.
Ansio il cuore s'affretta a voi che adora
Come uccel sitibondo alla fontana;
Ma voi site lontana,
E il tè mi di raffredda, o mia signora.
Quand'io baciavo, pallido d'ebbrezza,
I vostri polsi fragili e rotondi,
E sussultavo sotto la carezza
Dè vostri occhi profondi,
Voi dicevate: Io t'amo tanto, sai,
Tanto! ma tu mi scorderai fra poco!
E piangevate, quasi. Io non pensai
Che faceste per gioco.
poesia di Giovanni Alfredo Cesareo
Aggiunto di Simona Enache
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