Il servizio domenicale
Guarda, guarda, maestro, ecco cbe arrivano due bruchi religiosi.
L'Ebreo di Malta Polifil Oprogenitivi
i sapienti vivandieri del Signore
Fluttuano attraverso i vetri
Della finestra. In principio era il Verbo.
In principio era il Verbo. Superfetazione di -rò vn,
E al volgersi mensile del tempo
Produsse lo snervato Origene.
Un pittore della scuola umbra
Disegnò su un fondo di gesso
L'aureola del Dio Battezzato.
Il deserto è bruno e spaccato
Ma per l'acqua pallida e lieve
Splendono ancora i piedi inoffensivi
E in alto il pittore dispose
Il Padre e il Paracleto.
. . . . . . . . . . . .
Presbiteriani neri-zibellino
S'accostano alla via della penitenza;
I giovani sono rossi e pustolosi
E stringono in mano denaro d'espiazione.
Sotto i cancelli penitenziali
Sostenuti da Serafini che guardano
Dove le anime dei devoti
Bruciano fioche e invisibili.
Lungo la cinta del giardino
Le api dal ventre villoso
Vanno fra stame e pistillo,
Sacro officio dell'epicene.
Sweeney si appoggia ora sull'una ora sull'altra natica
E agita l'acqua nella vasca da bagno.
I maestri delle scuole sottili
Son controversi, enciclopedici.
poesia di T.S. Eliot
Aggiunto di Simona Enache
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Citazioni simili
Agli appuntamenti sono immancabilmente in ritardo, a volte anche di due ore. Ho provato a cambiare questi miei modi, ma i motivi che mi fanno ritardare sono troppo forti e troppo piacevoli. Quando devo essere da qualche parte per cena alle otto, me ne rimango nella vasca da bagno per un’ora e più. Si fanno le otto e io sono ancora nella vasca. Continuo a versare essenze profumate nell’ acqua, lascio scorrere l’acqua e riempio la vasca con acqua fresca. Mi dimentico che sono le otto e che ho un appuntamento a cena. Mi perdo nei miei pensieri e mi sento lontana da tutto. A volte so il vero motivo di quello che faccio. Nella vasca non c’è Marilyn Monroe, ma Norma Jean.
citazione di Marilyn Monroe
Aggiunto di Simona Enache
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In principio era il verbo... No, in principio era il sesso.
Antonio Gramsci in La città futura (1918)
Aggiunto di Simona Enache
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Al principio è la morte. Non parlo del principio del cosmo e neppure del principio del caos, bensì del principio della coscienza umana. Si diventa umani quando si sente e si accetta – mai del tutto, però, sempre a metà – la certezza della morte.
Fernando Savater in Brevissime teorie (2000)
Aggiunto di Simona Enache
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Halleluyah
Mistica
dell’immensità –
sotto gli sguardi di santo della sfinge:
infinita è la sua creazione,
colonna vertebrale della vita che sale.
Chi può stare davanti
alla sua ineguagliabile grandezza,
del demiurgo?
Tra
reale e utopico,
la storia del mondo respira
la caduta nel tempo
sotto il proprio peso.
Nel ritmo cosmico
gli infiniti si stringono
in un frantume
di eternità.
La vita è solo una levitazione
del corpo verso il cielo. Oh, se potessi
toccare con il cuore l’eden del cielo,
l’eco silenziosa del mistero!
La sensazione
di sapore e libertà,
edificante la risento
con la grazia della natura umana immacolata.
Oh!, non calpestare
sull’altare sacro del mio verso:
la poesia è solo una forma di vita,
e [...] le sue creature –
infinite vie per conoscere
[così come è] l’iddio.
Lettere d’oro,
di un’immensa purezza,
lastricate con le orme
del passaggio del (d)io,
fruttificano nel cuore dell’uomo.
L’uomo libero,
sempre innamorato del cielo,
nella rosa dei venti maestro
come il primo monarca.
Per tutto quello che è stato ed è,
per tutto quello che sarà –
ma oggi ancora non lo è sulla terra,
sotto gli sguardi di sfinge del tempo:
lodato sia il suo nome!,
halleluyah!
poesia di Dumitru Găleşanu da Le luci dell\'uomo [lirica filosofica] (5 aprile 2021), traduzione di Mihaela Cîrțog
Aggiunto di anonimo
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Giù in fondo scorreva la Jumna
Giù in fondo scorreva la Jumna, limpida;
rapida; su, in alto, lo scoglio sporgevasi
minaccioso.
Intorno, una cerchia di colline nereggianti
di boschi, e róse, a' piedi, dai torrenti.
Govinda, il grande maestro, sedeva sullo
Scoglio leggendo le Scritture, allorché
Raghunath, il discepolo, superbo della sua
ricchezza, s'accostò salutando e gli disse:
Ho portato il mio povero dono, indegno,
forse, del tuo gradimento."
Così dicendo, spiegò dinanzi al maestro due
anelli d'orlo adorni di pietre preziose.
Il maestro ne prese uno, se ne cinse il dito,
e i diamanti irradiarono guizzi.
A un tratto l'anello gli scivolò di mano e
rotolò giù per lo scoglio e poi nell'acqua.
"Haimé! " gemette Raghunath e spiccò un
salto nel torrente.
Il maestro fissò gli occhi sul suo volume,
e le onde tennero e celarono ciò che avevan
rapito, e seguitarono il corso.
Già dileguava la luce del giorno allor
che Raghunath tornò, stanco e stillante
acqua, al maestro.
Desolato disse: " Potrei ancora riprenderlo,
se tu mi dicessi dove cadde."
Il maestro tolse l'altro anello e gettandolo
nell'acqua rispose: E' laggiù!
poesia di Rabindranath Tagore
Aggiunto di Simona Enache
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Dove?
Mi sono sempre domandata,
Dove va,
dove scompare
ciò che ho sentito
quando non mi segno
quanto ho sentito?
Rispondere-
nell'oblio
è troppo ellitico
è troppo complicato
Ma che cos'è la dimenticanza
quella che ingoia tutto
ciò che non è custodito
in parole?
Che cosa è il dirupo
sull'orlo del quale
il verbo vivere
si lascia sospeso
del verbo scrivere
e il mondo stesso
diventa una storia
che aspetta
essere letta
parola per parola?
Una storia scritta
difficilmente,
lettera per lettera
e sillaba per sillaba,
alla fine della quale
aspetta,
minacciosa,
come la Sfinge,
la domanda:
dove sparisce,
dove va
ciò che scritto non è
vissuto essendo?
Ma ciò ancora vissuto non è?
poesia di Rodica Elena Lupu da Il Momento (2011), traduzione di Mariana Pop Mion
Aggiunto di Rodica Elena Lupu
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Sonetto 24
Il mio occhio s'è fatto pittore ed ha tracciato
L'immagine tua bella sul quadro del mio cuore;
il mio corpo è cornice in cui è racchiusa,
Prospettica, eccellente arte pittorica,
Ché attraverso il pittore devi vederne l'arte
Per trovar dove sia la tua autentica immagine dipinta,
Custodita nella bottega del mio seno,
Che ha gli occhi tuoi per vetri alle finestre.
Vedi ora come gli occhi si aiutino a vicenda:
I miei hanno tracciato la tua figura e i tuoi
Son finestre al mio seno, per cui il Sole
Gode affacciarsi ad ammirare te.
Però all'arte dell'occhio manca la miglior grazia:
Ritrae quello che vede, ma non conosce il cuore.
poesia di William Shakespeare
Aggiunto di Simona Enache
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La mia vita, la mia vita, ora ne parlo come d'una cosa finita, ora come d'una burla che dura ancora, e ho torto, perché è finita e perdura insieme, ma con quale tempo del verbo esprimerlo?
Samuel Beckett in Molloy (1996)
Aggiunto di Simona Enache
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Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuole fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora il partito dominante segue un'altra strada. Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato... Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata.
Piero Calamandrei in discorso al III Congresso dell'Associazione a difesa della scuola nazionale (11 febbraio 1950)
Aggiunto di Simona Enache
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A l'antica piazza dei tornei salgono strade e strade e nell'aria pura si prevede sotto il cielo il mare. L'aria pura è appena segnata di nubi leggere. L'aria è rosa. Un antico crepuscolo ha tinto la piazza e le sue mura. E dura sotto il cielo che dura, estate rosea di più rosea estate. Intorno nell'aria del crepuscolo si intendono delle risa, serenamente, e dalle mura sporge una torricella rosa tra l'edera che cela una campana: mentre, accanto, una fonte sotto una cupoletta getta acqua acqua ed acqua senza fretta, nella vetta con il busto di un savio imperatore: acqua acqua, acqua getta senza fretta, con in vetta il busto cieco di un savio imperatore romano. Un vertice colorito dall'altra parte della piazza mette quadretta, da quattro cuspidi una torre quadrata mette quadretta svariate di smalto, un riso acuto nel cielo, oltre il tortueggiare, sopra dei vicoli il velo rosso del roso mattone: ed a quel riso odo risponde l'oblìo. L'oblìo così caro alla statua del pagano imperatore sopra la cupoletta dove l'acqua zampilla senza fretta sotto lo sguardo cieco del savio imperatore romano.
Dino Campana in Piazza Sarzano
Aggiunto di Simona Enache
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Zeno quantistico
Il mio verso?
– una sorta di acqua viva,
un trascendere-dell’ essere dalla filosofia.
Nella logica binaria dell’esistenza,
assumendosi in modo inerente
lo spettacolo dell’immanenza,
sulla strada delle onde grvitazionali – archetipali
prendono la forma di coni di luce dolorosamente reali,
però – dal cuore dei concetti semplici, atemporali,
avendo la scienza acuta del (s-)enso
con il proprio essere salendo
dalla scala infinita
dell’ universo,
come un gesto
rituale –
il mio verso
s-limita con tanti petali
il miraggio oggettivo della parola –
personificazioni nello spazio e tempo del pensiero,
in modo che – faccia a faccia con la vita – dedalico,
attraverso l’effetto Zeno quantistico
valorizzando la pietra che scorre –
lui sempre acqua viva rimane
nella matrice della lingua romena.
Mio verso?
– una sorta di acqua viva,
un trascendere-dell’ essere dalla filosofia.
poesia di Dumitru Găleşanu da Il titolo del libro: Trattato per l’immortalit? , Casa di Editrice Tracus Arte Bucarest, 2016 (13 settembre 2016), traduzione di Celesta Popa
Aggiunto di anonimo
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Preoccupazione
Aedo della speranza,
ho desiderato godermi
poesia -scrivendo poesia,
in tal senso -contro la fermata in tempo –
mi sono orientato in modo garbato
ai letterati rinomati,
prendendo lezioni sottili
di melancolia.
Uscendo fuori strada
sui viali del vento,
ho attraversato l’alto
da un capo all’altro,
fermandomi giù
al sale della terra.
Ma non ho scoperto
subito
l’intero panorama,
un cortocircito allo stomaco
mi ha fatto a domandarmi improvvisamente:
che cosa ti puoi aspettare
in una citta
dove i poeti
non sono ascoltati?,
dove quasi tutti
con obbedienza aprono il cuore
a nienti brillanti?
Ho
visto anche gente
pensierosa -indignata
dall’ambiguità della luce,
dal fatto che... il dio
ha lasciato l’uomo solo –
da quando questo si è fidato
totalmente dell’atomo.
Sotto la corona di questo
secolo meraviglioso inutile,
sembrava una speranza vana
che il mondo si salverà, tuttavia,
saggiamente
-attraverso l’arte.
Dio
è dappertutto,
anche nei tuoi pensieri bizzarri.
Perché non sarebbe la tua gente lontana
la tua gente, davvero?
Ciascuno mettendo
il futuro della terra
nel raggio orgoglioso di sole.
Ecco,
sull’asfalto rancido
tra bolle gioiose di sapone,
i bambini dipingono il camino antico –
sciami stellari e galassie,
senza dimenticare l’iperpensieroso
sole.
poesia di Dumitru Găleşanu da Le luci dell\'uomo [lirica filosofica] (5 aprile 2021), traduzione di Mihaela Cîrțog
Aggiunto di anonimo
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In estate come in inverno
In estate come in inverno
nel fango nella polvere
sdraiato su vecchi giornali
l'uomo che ha l'acqua nelle scarpe
guarda le barche lontane.
Accanto a lui un imbecille
un signore che ne ha
tristemente pesca con la lenza
Egli non sa perché
vedendo passare una chiatta
la nostalgia lo afferra
Anch'egli vorrebbe partire
lontano lontano sull'acqua
e vivere una nuova vita
con un po' di pancia in meno.
In estate come in inverno
nel fango nella polvere
sdraiato su vecchi giornali
l'uomo che ha l'acqua nelle scarpe
guarda le barche lontane.
Il bravo pescatore con la lenza
torna a casa senza un sol pesce
Apre una scatoletta di sardine
e poi si mette a piangere
Capisce che dovrà morire
e che non ha mai amato
Sua moglie lo compatisce
con un sorriso ironico
E' una ignobile megera
una ranocchia d'acquasantiera.
In estate come in inverno
nel fango nella polvere
sdraiato su vecchi giornali
l'uomo che ha l'acqua nelle scarpe
guarda le barche lontane.
Sa bene che i battelli
son grandi topaie sul mare
e che per i bassi salari
le belle barcaiole
e i loro poveri battellieri
portano a spasso sui fìumi
una carrettata di fìgli
soffocati dalla miseria
in estate come in inverno
con non importa qual tempo.
poesia di Jacques Prevert
Aggiunto di Simona Enache
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L'uccello prigioniero
L'uccello prigioniero nella gabbia,
l'uccello libero nella foresta:
quando venne il tempo s'incontrarono,
questo era il decreto del destino.
L'uccello libero grida al compagno:
"Amore mio, voliarno nel bosco!"
L'uccello prigioniero gli sussurra:
"Vieni, viviamo entrambi nella gabbia".
Dice l'uccello libero.- "Tra sbarre,
dove c'è spazio per stendere l'ali?"
"Ahimé, grida l'uccello nella gabbia,
Non so dove appollaiarmi nel cielo".
L'uccello libero grida:
"Amore mio, canta le canzoni delle foreste".
L'uccello in gabbia dice:
"Siedi al mio fianco,
t'insegnerò il linguaggio dei sapienti".
L'uccello libero grida: "No, oh no!
I canti non si possono insegnare".
L'uccello nella gabbia dice: "Ahimé,
non conosco i canti delle foreste".
Il loro amore è intenso e struggente,
ma non possono mai volare assieme.
Attraverso le sbarre della gabbia
si guardano e si guardano, ma è vano
il loro desiderio di conoscersi.
Scuotono ansiosamente le ali e cantano:
"Vieni vicino a me, amore mio!".
L'uccello libero grida:
"E' impossibile, temo le porte chiuse della gabbia".
L'uccello in gabbia sussurra.- "Ahimé,
le mie ali sono morte e impotenti".
poesia di Rabindranath Tagore
Aggiunto di Simona Enache
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Egli le toccò la gola e attese. Voleva essere sicuro che dormisse. Poi le toccò i seni e Bijou non si mosse. Con cautela e destrezza le accarezzò il ventre e con la pressione del dito spinse la seta nera del vestito in modo da sottolineare la forma delle gambe e lo spazio tra di loro. Dopo aver dato forma a questa valle, continuò ad accarezzarle le gambe, senza però toccargliele sotto il vestito. Poi si alzo silenziosamente dalla seggiola, andò ai piedi del divanetto, e si inginocchiò. Bijou sapeva che, in questa posizione, poteva guardarle sotto il vestito e vedere che non portava niente. L'uomo guardò a lungo. Poi senti che le sollevava leggermente l'orlo della gonna, per poter vedere di più. Bijou si era allungata tutta sul divano con le gambe leggermente divaricate. E ora si scioglieva sotto il tocco e gli sguardi di lui. Com'era bello sentirsi guardare, mentre fingeva di dormire, e sentire che l'uomo era completamente libero. Sentì che la seta veniva sollevata, le gambe scoperte. E lui le guardava.
Anais Nin in Il delta di Venere
Aggiunto di Simona Enache
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Spesso il male di vivere ho incontrato
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi; fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
poesia di Eugenio Montale
Aggiunto di Simona Enache
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Nuove stanze
Poi che gli ultimi fili di tabacco
al tuo gesto si spengono nel piatto
di cristallo, al soffitto lenta sale
la spirale del fumo
che gli alfieri e i cavalli degli scacchi
guardano stupefatti; e nuovi anelli
la seguono, più mobili di quelli
delle tua dita.
La morgana che in cielo liberava
torri e ponti è sparita
al primo soffio; s’apre la finestra
non vista e il fumo s’agita. Là in fondo,
altro stormo si muove: una tregenda
d’uomini che non sa questo tuo incenso,
nella scacchiera di cui puoi tu sola
comporre il senso.
Il mio dubbio d’un tempo era se forse
tu stessa ignori il giuoco che si svolge
sul quadrato e ora è nembo alle tue porte:
follìa di morte non si placa a poco
prezzo, se poco è il lampo del tuo sguardo
ma domanda altri fuochi, oltre le fitte
cortine che per te fomenta il dio
del caso, quando assiste.
Oggi so ciò che vuoi; batte il suo fioco
tocco la Martinella ed impaura
le sagome d’avorio in una luce
spettrale di nevaio. Ma resiste
e vince il premio della solitaria
veglia chi può con te allo specchio ustorio
che accieca le pedine opporre i tuoi
occhi d’acciaio.
poesia di Eugenio Montale
Aggiunto di Simona Enache
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Non è già dalla utilità o magnificenza di qualche pubblico stabilimento innalzato nelle capitali che si dee misurare la floridezza di un popolo: sono le provincie, sono i luoghi più discosti dal centro del governo che voglionsi interrogare sull'esecuzione delle leggi, sulla sicurezza individuale, sul comodo, sull'onesta indipendenza dell'agricoltore, dell'artigiano.
Santorre di Santarosa in Storia della rivoluzione piemontese del 1821 del conte di Santarosa (1850)
Aggiunto di Simona Enache
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* * *
Mi chiedo cosa stia facendo a quest’ora
la mia dolce Rita delle Ande,
dei canneti e dei ciliegi selvatici.
Ora che questo tedio mi soffoca e il sangue mi si è assopito,
pigra acquavite del mio essere.
Mi chiedo cosa stia facendo con quelle mani
che, quasi in penitenza,
eran solite stirare inamidati candori,
nei pomeriggi.
Ora che questa pioggia mi porta via il desiderio di continuare.
Mi chiedo che ne è della sua gonna con gli smerli;
dei suoi travagli; della sua andatura;
del suo profumo di canna da zucchero primaverile, di là.
Dev’essere sulla soglia,
intenta a guardare una nuvola veloce.
Un uccello di macchia sui tegoli del tetto manda un richiamo;
E con un brivido lei dirà, alla fine: 'Gesù, che freddo!'.
poesia di Cesar Vallejo da Il Dono dell'Aquila
Aggiunto di Simona Enache
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Lasciando Loco
Sono partiti tutti.
Hanno spento la luce,
chiuso la porta, e tutti
(tutti) se ne sono andati
uno dopo l’altro.
Soli,
sono rimasti gli alberi
e il ponte, l’acqua
che canta ancora, e i tavoli
della locanda ancora
ingombri – il deserto,
la lampadina a carbone
lasciata accesa nel sole
sopra il deserto.
E io,
io allora, qui,
io cosa rimango a fare,
qui dove perfino Dio
se n’è andato di chiesa,
dove perfino il guardiano
del camposanto (uno
dei compagnoni più gai
e savi) ha abbandonato
il cancello, e ormai
– di tanti – non c’è più nessuno
col quale amorosamente
poter altercare?
poesia di Giorgio Caproni
Aggiunto di Simona Enache
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